Dallo stato dell’arte alle prospettive di medio lungo termine nel mondo e nel nostro paese
La UNU-INWEH (United Nations University – Institute for Water, Environment and Health), è uno dei 13 istituti universitari delle Nazioni Unite (UNU), specializzato in questioni idriche di rilevanza globale, operante prevalentemente nei Paesi del Sud del mondo. L’acqua è il punto di partenza di tutte le sue attività, comprese quelle relative all’ambiente e alla salute.
Nel corso del 2021, pubblica il report “Ageing water infrastructure: An emerging global risk “ (L’invecchiamento delle infrastrutture idriche: un rischio globale emergente), secondo il quale, entro il 2050 la maggior parte dell’umanità vivrà a valle di decine di migliaia di grandi dighe costruite nel corso del XX secolo, molte delle quali in funzione oltre la loro presunta vita di progetto.
Secondo l’analisi condotta dall’istituto, la maggior parte delle 58.700 dighe di grandi dimensioni presenti nel mondo risultano costruite tra il 1930 e il 1970, secondo una vita utile di progetto originaria compresa tra i 50 e i 100 anni.
I chiari sintomi dell’invecchiamento dell’opera si riscontrano nell’aumento dei casi di cedimento degli sbarramenti, nel progressivo incremento dei costi di manutenzione, nell’aumento della sedimentazione degli invasi e nella perdita di funzionalità ed efficacia.
A seguito di questa fotografia, negli Stati Uniti e in Europa si sta affermando il fenomeno del “decommissioning“, frangente in cui le limitazioni economiche e pratiche rendono praticamente improponibili l’implementazione di opere di ammodernamento delle strutture più obsolete.
Nel mondo, il volume d’acqua immagazzinato dai grandi invasi artificiali è stimato essere compreso tra i 7.000 e gli 8.300 km3, valore sufficiente a interessare circa l’80% della
terraferma canadese sotto un metro d’acqua.
Lo studio affronta una panoramica dell’invecchiamento delle dighe per regione del mondo e per funzione primaria: approvvigionamento idrico, irrigazione, controllo delle inondazioni, energia idroelettrica e attività ricreative.
IL CAMBIAMENTO CLIMATICO ACCELERERÀ IL PROCESSO DI INVECCHIAMENTO DELLE DIGHE
“Questo rapporto mira ad attirare l’attenzione globale sul problema strisciante dell’invecchiamento delle infrastrutture di stoccaggio dell’acqua e a stimolare gli sforzi internazionali per affrontare questo rischio idrico emergente e crescente”, afferma il co-autore Vladimir Smakhtin, direttore dell’UNU-INWEH.
“Si sottolinea il fatto che la crescente frequenza e gravità delle inondazioni e di altri eventi ambientali estremi può superare i limiti di progettazione di una diga e accelerarne il processo di invecchiamento. Le decisioni sulla dismissione, quindi, devono essere prese nel contesto di un clima che cambia”.
L’autore principale dello studio nonché ricercatore senior dell’UNU-INWEH, Duminda Perera, fa notare che “Il problema dell’invecchiamento delle grandi dighe si pone oggi di fronte a un numero relativamente ridotto di Paesi: il 93% di tutte le grandi dighe del mondo si trova in appena 25 nazioni“.
“La costruzione di grandi dighe ha avuto un’impennata a metà del XX secolo e ha raggiunto il suo picco negli anni ’60 e ’70, soprattutto in Asia, Europa e Nord America, mentre in Africa il picco si è verificato negli anni ’80”. In seguito, il numero di grandi dighe di nuova costruzione è diminuito costantemente e progressivamente”.
La Cina possiede 23.841 grandi dighe (il 40% del totale mondiale), ma il dato ancora più significativo è che il 55% del totale mondiale (32.716 grandi dighe) è collocato geograficamente parlando in soli quattro Paesi asiatici: Cina, India, Giappone e Repubblica di Corea.
La maggior parte degli impianti raggiungerà la soglia dei 50 anni di vita in tempi relativamente brevi. Lo stesso dicasi per le numerose dighe site in Africa, Sud America ed Europa orientale.
Il ritmo di costruzione di grandi dighe è diminuito drasticamente negli ultimi quarant’anni e continua a diminuire in parte perché “i luoghi migliori per tali dighe a livello globale si sono progressivamente ridotti, dato che quasi il 50% del volume fluviale globale è già frammentato o regolato da dighe”, si legge nel rapporto.
Fattori trainanti della disattivazione delle dighe
Perché oggi il tema della “decommissioning” risulta quanto mai di attualità ?
I motivi li ritroviamo nel dover garantire la sicurezza pubblica, nell’aumento dei costi di manutenzione, nella sedimentazione dei bacini e nel ripristino degli ecosistemi fluviali condizionati e fortemente alterati dalla presenza dell’invaso.
Un dato di fatto è che ad oggi, la maggior parte delle dighe rimosse sono state di piccola taglia; lo smantellamento di strutture di grandi dimensioni (definite dall’ICOLD come dighe di 15 o più metri dalla fondazione più bassa alla cresta, o da 5 a 15 metri di altezza, che contengono più di 3 milioni di metri cubi) è “solamente agli inizi, con solo pochi casi noti nell’ultimo decennio”.
“Alcuni casi di studio di grandi dighe invecchiate e smantellate illustrano la complessità e la lunghezza del processo spesso necessario per organizzare la rimozione della diga in modo sicuro”, aggiunge il co-autore e professore aggiunto dell’UNU-INWEH R. Allen Curry, dell’Università di New Brunswick.
La disattivazione dell’impianto avrà diversi impatti di natura economica, sociale ed ecologica, sia positivi che negativi.
Incidenti e impatto diretto sulla popolazione
Solo negli ultimi cento anni i disastri originati da incidenti connessi a dighe e sbarramenti hanno causato circa 300 mila morti, oltre a danni a beni e cose, con oltre 11 milioni di persone che hanno perso l’abitazione. In media, oltre 2mila morti ogni anno, cioè quasi sei al giorno. Eppure, quando si parla di disastri e catastrofi, si pensa prevalentemente a terremoti, eruzioni, maremoti, incendi, esplosioni o altri eventi; raramente alle inondazioni collegate a dighe e sbarramenti. Gli incidenti ed i disastri, però, ci sono, riguardano tutti i continenti e coinvolgono tanto Paesi ricchi quanto Paesi poveri
Disastri recenti
Giugno 2020.
Regione cinese del Guangxi. La diga di un piccolo bacino idrografico crolla, dopo giorni di forti piogge per fortuna creando danni relativamente ridotti e nessuna vittima. Ma quel che si inizia a temere è che quello che è successo nello Guangxi, possa ripetersi con le altre dighe cinesi, alcune delle quali molto vetuste. «In tutto si tratta di 94.000 dighe che per di più insistono su aree che, al tempo della loro costruzione (gli anni ‘60) erano quasi completamente disabitate, mentre ora sono popolate da migliaia di persone».
5 giugno 2020.
Michigan, Usa. Crolla la diga di Edenville. La furia dell’acqua travolge tutto quello che si trova sotto, un po’ come ai tempi del Vajont. Ma non è la sola: infatti cede, a causa degli stessi eventi atmosferici, anche la diga di Sanford, nello stesso stato americano.
Gennaio 2019.
Brasile. Crolla la diga di Brumadinho facendo 250 vittime, mentre nel marzo 2020 a Heilongjiang, in Cina, una diga che serviva una grande miniera di molibdeno, che veniva utilizzata per lo smaltimento dei rifiuti, ha subito un serio incidente e le sue acque, inquinate, hanno rischiato di contaminare l’approvvigionamento idrico locale.
Maggio 2018.
Colombia. Massima allerta per il possibile crollo della super diga di Hidrohituango. Già migliaia gli sfollati, la vicinanza dei vescovi alle popolazioni. Bogotà ha chiesto aiuto all’ Onu.
«Si tratta del più grande progetto idroelettrico colombiano, i cui lavori, non ancora terminati, sono iniziati nel 2010. Nelle scorse settimane le frequenti piogge hanno innalzato il livello del fiume Cauca, lungo il quale è prevista la costruzione del bacino idroelettrico, e si sono ostruite alcune gallerie che permettevano il passaggio del fiume. In tal modo l’acqua, non riuscendo a defluire, ha iniziato a filtrare dalla diga in costruzione e ad erodere parte del muro. Nel frattempo il livello del fiume a monte della diga si è innalzato: una scuola, un ospedale e diverse abitazioni di Puerto Valdivia sono andate distrutte e sono state evacuate migliaia di persone, novemila in dodici comuni, secondo le cifre più aggiornate».
E per salvare la diga, per salvare l’impianto è stato necessario riversare migliaia di metri cubi d’acqua nel fiume Cauca con conseguente distruzione, finale, del villaggio di Puerto Valdivia, abitato dagli indigeni Mutabe, che sono rimasti pure esclusi, visto che non hanno prodotto le debite domande, dagli indennizzi economici previsti.
Per inciso questa mega diga comporta elevati costi ambientali, quali la perdita di biodiversità e l’amputazione dell’ecosistema, letteralmente tagliato in due dalla mega opera.
I numeri delle dighe nel mondo
58.700: grandi dighe registrate nel database dell’International Commission on Large Dams (ICOLD); una grande diga è definita come una diga di oltre 15 metri di altezza, misurata dalla fondazione più bassa alla cresta, o di altezza compresa tra 5 e 15 metri che argina più di 3 milioni di metri cubi (0,003 km3).
Delle 58.700 grandi dighe totali, circa una su otto ha una capacità di 100 milioni di metri cubi (0,1 km3).
7.000-8.300 km3: volume d’acqua immagazzinato dietro le grandi dighe in tutto il mondo – circa un sesto di tutto il deflusso fluviale mondiale ogni anno – sufficiente a coprire circa l’80% della massa terrestre canadese sotto un metro d’acqua
50-100 anni: durata di vita delle dighe costruite tra il 1930 e il 1970 (quando è stata costruita la maggior parte delle grandi dighe esistenti). Vita media: 50 anni
~16.000: grandi dighe da 50 a 100 anni in Nord America e Asia
~2.300: grandi dighe con più di 100 anni in Nord America e Asia
USA / Canada
56: età media di 90.580 dighe statunitensi (tutte le dimensioni)
85%+: dighe statunitensi nel 2020 in funzione o oltre la loro aspettativa di vita
75%: Cedimenti di dighe statunitensi avvenuti dopo i 50 anni di età
64 miliardi di dollari: costo stimato per la ristrutturazione delle dighe statunitensi
1.275: dighe rimosse in 21 stati americani negli ultimi 30 anni; 80 rimosse solo nel 2017
50%+: grandi dighe in Canada con oltre 50 anni di età
Asia/Pacifico
Cina
56%: percentuale di grandi dighe nel mondo situate in Cina e negli Stati Uniti (i primi 25 Paesi rappresentano oltre il 93%).
23.841: grandi dighe in Cina (la maggior parte di tutti i Paesi e il 40% del totale mondiale).
60%: proporzione delle grandi dighe in Asia
55%: percentuale delle grandi dighe mondiali in soli quattro Paesi – Cina, India, Giappone e Repubblica di Corea – la maggior parte dei quali raggiungerà presto i 50 anni di età.
India
1.115+: grandi dighe in India che avranno circa 50 anni nel 2025
4.250+: grandi dighe in India che avranno più di 50 anni nel 2050
64: grandi dighe in India che avranno più di 150 anni nel 2050
3,5 milioni: il numero approssimativo di persone a rischio se la diga indiana di Mullaperiyar, costruita oltre 100 anni fa, dovesse cedere. La diga, situata in un’area sismicamente attiva, presenta notevoli difetti strutturali e la sua gestione è una questione controversa tra gli Stati del Kerala e del Tamil Nadu.
Giappone
Oltre 100 anni: età media delle grandi dighe in Giappone
Australia
650: grandi dighe in Australia, metà delle quali hanno più di 50 anni; oltre 50 sono in funzione da più di 100 anni. Porzione dell’energia pulita australiana generata dall’energia idroelettrica: 65%.
Regno Unito / Europa
100+ anni: età media delle grandi dighe nel Regno Unito
~10%: grandi dighe in Europa con oltre 100 anni di età
Africa
2.000: grandi dighe in Africa (¼ delle quali in Sudafrica), il minor numero di tutti i continenti; utilizzate soprattutto per l’irrigazione.
Situazione in Italia
In Italia si contano 532 grandi dighe (nel mondo sono oltre 40.000) e circa 10.000 piccole dighe.
Purtroppo, secondo i dati attualmente disponibili, delle 532 grandi dighe di interesse nazionale e con vigilanza statale, il 60% ha più di 50 anni, alcune hanno ormai compiuto il secolo di vita ed un centinaio fra esse non sono ancora operative al 100% perché non collaudate in modo definitivo, con tutto ciò che ne deriva.
Inoltre, il 90% è stato costruito prima dell’entrata in vigore delle attuali norme tecniche e il 70% è stato progettato senza prendere in considerazione l’attività sismica, perché al momento della costruzione non esistevano norme in tal senso. Aggiungiamo a questi dati la forte concentrazione demografica del territorio italiano e possiamo intuire l’alto livello di pericolosità, non di rado trascurata, ma anche i segnali di cambiamento climatico in corso – con l’aumentato rischio di piogge improvvise ed estremamente abbondanti -, il disboscamento, la scarsa cura di spazi rurali una volta agricoli e – non ultimo ed altrettanto grave – il fatto che il passaggio alle Regioni del controllo di una parte di tali infrastrutture ha prodotto norme di controllo e sicurezza diverse da un luogo all’altro.
Principali cause di collasso
Prendendo spunto dalla casistica internazionale le principali cause di collasso sono riconducibili a: 1) materiali e tecniche di costruzione non adeguati; 2) errori di progettazione; 3) instabilità geologica; 4) cattiva manutenzione; 5) afflusso eccessivo di acqua; 6) scivolamento di grandi masse da pendii circostanti; 7) terremoti; 8) erosioni interne; 9) errori umani.
Per definire le strategie operative di azione per allertamento, prevenzione, gestione dell’emergenza e assistenza alla popolazione si formulano dei Piani di emergenza dighe (Ped) che devono prevedere il ventaglio di rischi ed interventi in caso di collasso dell’invaso o di emergenze minori. I Ped differenziano l’area d’impatto in tre zone distinte, secondo la gravità dell’impatto stesso:
- zona di sicuro impatto. È limitata alle immediate adiacenze dell’impianto e caratterizzata dalla maggiore gravità dell’impatto e della probabile mortalità. Tale zona dovrebbe essere interdetta a qualsiasi tipo di insediamento.
- zona di danno. Sono possibili danni a persone che non realizzino le corrette misure di autoprotezione ed alle persone maggiormente vulnerabili. L’intervento di protezione principale dovrebbe consistere nella rapida evacuazione
- zona di attenzione. Sono possibili danni, generalmente meno gravi
Normativa italiana
Con la Direttiva del presidente del Consiglio dei ministri “Grandi Dighe” del luglio 2014, finalmente si è previsto che preliminare alla redazione dei piani di emergenza sia l’aggiornamento di tutti i documenti di protezione civile che governano la gestione delle dighe. Inoltre, si sono distinte due tipologie di rischio:
• il “rischio diga“, cioè rischio idraulico indotto dalla diga, conseguente ad eventuali problemi di sicurezza della diga, ovvero nel caso di eventi, temuti o in atto, coinvolgenti l’impianto di ritenuta o una sua parte e rilevanti ai fini della sicurezza della diga e dei territori di valle;
• il “rischio idraulico a valle“, cioè rischio idraulico non connesso a problemi di sicurezza della diga ma conseguente alle portate scaricate a valle, ovvero con portate per l’alveo di valle che possono produrre fenomeni di onda di piena e rischio esondazione.
Due anni dopo, nel 2016, è stato varato il “Piano di messa in sicurezza delle grandi dighe”. Con il suo aggiornamento, avvenuto nel 2018, sono previsti e finanziati oltre 130 interventi, ma le procedure di attuazione, ad oggi, sono ancora molto lente e poco uniformi nelle varie aree d’Italia.
In ordine temporale l’ultimo aggiornamento legislativo è il Decreto del Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili 16 dicembre 2021, n. 517 “Investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico” dell’Investimento 4.1, Missione 2, Componente C4 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)
link utili
Ageing Water Storage Infrastructure: An Emerging Global Risk – UNU-INWEH
Verifica di argini in terra – ESD
Software per la verifica degli argini in terra di invasi, sia in condizioni statiche che sismiche.
Verifiche in condizioni di: Serbatoio pieno, serbatoio vuoto, serbatoio rapidamente svuotato. Verifica idraulica a sifonamento, determinazione della portata di filtrazione attraverso l’opera, lunghezza di filtrazione, andamento della linea di saturazione.